Il principio del risultato nel nuovo codice (e rapporti con l’affidamento diretto)

a cura di Stefano Usai 

Lo schema del nuovo codice, come si legge nella relazione tecnica che accompagna il testo, cerca di colmare una lacuna dell’attuale codice, in vigore, ovvero il fatto che questo “non contiene una parte iniziale dedicata ai principi generali”.

Circostanza, quindi, che è stata oggetto di attenta rimeditazione una volta certificato che “il ruolo dei principi nel codice dei contratti (nda in vigore) subisce, così, una compressione rilevante da parte delle norme puntuali, che finiscono per erodere ambiti di discrezionalità alle amministrazioni pubbliche, indotte a considerare tali principi come valori astratti a cui deve rispondere, in via solo tendenziale, la loro azione”.

Il progetto di nuovo codice – invece – ha inteso, “dedicare una parte generale (la Parte I del Libro I) alla codificazione dei principi che riguardano l’intera materia dei contratti pubblici”.

L’innesto dei principi da un lato assolve “a una funzione di completezza dell’ordinamento giuridico e di garanzia della tutela di interessi che altrimenti non troverebbero adeguata sistemazione nelle singole disposizioni” esprimendo “valori e criteri di valutazione immanenti all’ordine giuridico, che hanno una “memoria del tutto” che le singole e specifiche disposizioni non possono avere, pur essendo ad esso riconducibili”.

I principi, pertanto, arrivano dove le norme non potrebbero arrivare per l’impossibilità di puntualizzare ogni aspetto. Si legge, a tal proposito, nella relazione che la legge “– soprattutto un codice – non può inseguire la disciplina specifica di ogni aspetto della realtà, perché si troverà sempre in ritardo, ma deve invece fornire gli strumenti e le regole generali e astratte per regolarla”.

Dovrebbe significare, quanto riportato, che nell’ampio catalogo delle opzioni contenute nel codice, il RUP (che ora – nel nuovo codice – non si potrà limitare più a proporre le procedure di assegnazione ma dovrà decidere quali utilizzare, cosi si specifica nell’allegato I.2) deve trovare la regola concreta da attuare/seguire per giungere ai risultati di un affidamento che abbia tutti i connotati di una azione amministrativa super virtuosa. Virtuosa in tutti i sensi.  

Il principio del risultato

Lo schema del nuovo Codice, poi, si apre – nientemeno che -, con il principio del risultato. Il risultato nel nuovo codice è l’affidamento del contratto e la sua esecuzione. In realtà non è solo questo come emerge dalla stessa norma.

L’attività contrattuale, così come in generale è l’azione amministrativa, è anche forma. Ora la questione centrale che, sembra a chi scrive, pone la norma è quella di una imposta esigenza, alle stazioni appaltanti, di calibrare la forma per assicurare il risultato che, come detto, non è solo il contratto e la sua esecuzione visto che occorre giungervi “con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”.

Non si può prescindere dalla forma (che non può mai essere  un fine, come si dirà più avanti) quale strumento ma non si può prescindere neppure da una responsabilità/compito ovvero sforzarsi di adeguare lo strumento rispetto all’obiettivo (affidamento ed esecuzione di un contratto che declini condizioni tecnico/economiche migliori possibili).

Nell’ambito di questa sottolineatura, che possiamo evidenziare come ovvia ma spesso tradita – si disegna, con il comma 2, il ruolo/funzione della “forma”.

La forma non perde valore ma si prova a spiegare che deve essere funzionale non un mero arzigogolare come potrebbe fare una “burocrazia difensiva” (sempre parole della relazione tecnica).

Il ruolo della concorrenza tra gli operatori economici quindi, nel comma secondo della norma in commento si chiarisce “è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti”.

Quindi la concorrenza non deve essere considerata come un fine (la gara non può essere un fine) ma, casomai, strumento per raggiungere il risultato di assicurarsi la prestazione migliore possibile rispettando tutte le regole.

E questo, effettivamente, sembra anche essere il temperamento segnalato nell’affidamento diretto  che deve  avvenire sempre rispettando un approccio che tuteli la stazione appaltante ovvero che “siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali”.

In questo modo, come già il DL 76/2020, il legislatore ha comunque deciso di veicolare/guidare  l’assegnazione diretta “pura”.

Ed appare anche riconducibile a quanto appena prospettato sul ruolo della concorrenza che,  se per norma l’affidamento diretto può avvenire anche senza la consultazione di più operatori, è altresì vero che  questo può avvenire anche con interpello di più operatori economici senza per questo diventare (sempre nella relazione tecnica) “una procedura di gara, (…), il che, nell’ottica di scongiurare il rischio della “burocrazia difensiva”, segna anche il definitivo superamento dell’indirizzo giurisprudenziale che, in caso di affidamento diretto “comparativo”, ha ritenuto applicabile l’art. 353-bis c.p.”.

E nell’articolo 3 dell’allegato I. 1 – dedicato alle definizioni -, si legge che per affidamento diretto si intende “l’affidamento del contratto senza una procedura di gara, nel quale, anche nel caso di previo interpello di più operatori economici, la scelta è operata discrezionalmente dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, nel rispetto dei criteri qualitativi e quantitativi previsti dal codice”.

Rispetto al principio di risultato (o meglio, per poter “ascendere” al risultato migliore possibile), pare a chi scrive, lo stesso legislatore consente, qualora si dovesse procedere con l’interpello (eventuale), che la “comparazione” possa avvenire anche “prima” ed in modo informale, per evitare di strutturare una procedura (che nell’affidamento diretto, si legge, è assente).

Prima si verifica, in sostanza, quale possa essere il preventivo/offerta migliore – sotto il profilo o solo economico o anche di tipo qualitativo -, poi si formalizza l’affidamento. Pur vero che una formalizzazione, minima, è operativa anche sul MEPA (la possibilità di effettuare una trattativa con più preventivi)

Se questa “comparazione/confronto, innestata/o dall’interpello non si svolge prima (ed in modo informale con il “solo” rispetto delle regole basilari ed ordinarie dell’affidamento, c’è il rischio che si invada altra procedura (la procedura negoziata in cui l’articolazione/struttura deve essere ben presente e rigorosamente rispettata).

Rispetto al risultato, quindi, anche l’affidamento diretto è mero strumento ma, l’esigenza di adattare la regola al caso concreto – sempre per il fine predetto -, impone una sua corretta configurazione e collocazione.

Non a caso, il quarto comma della norma in commento, statuisce che “Il principio del risultato costituisce (nda anche) criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”.

E la corretta configurazione giuridica e collocazione (nel caso di specie dell’affidamento diretto) non può essere la stessa della procedura negoziata (di cui pur ne condivide i tratti generali ed ordinari e il buon senso). Per citare un esempio si può ricordare un recente caso giurisprudenziale da cui emerge che  un confronto che porti poi all’affidamento diretto non può concludersi con una preferenza assegnata ad un preventivo/offerta che risulti peggiore rispetto ad un altro, sempre che non insistano ragioni previamente illuminate e chiarite.  Ma questo, come detto in altre circostanza, con l’affidamento diretto non c’entra.

La procedimentalizzazione, inoltre, non può essere l’ossessione della “burocrazia difensiva” considerato (sempre nella relazione) che la stessa “Corte costituzionale nella sentenza n. 131/2020, sui rapporti tra tutela della concorrenza, da un lato, e solidarietà/sussidiarietà orizzontale dall’altro” afferma “che la concorrenza non è un fine, ma uno strumento, che può essere “sacrificato” se ci sono interessi superiori da realizzare. La “demitizzazione” della concorrenza come fine da perseguire ad ogni costo è alla base, inoltre, anche della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 177 del vigente codice appalti (sentenza n. 218/2021, che pure chiarisce che il perseguimento della tutela della concorrenza incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti)”.

Quasi a dire, in leggera “controtendenza” rispetto alla norma per cui non è affatto vero, quindi, che la concorrenza è sempre necessaria, sarà (deve essere) il RUP a stabilire quando ricorrano le specifiche circostanze.  

Laddove – oltre la dinamica dell’affidamento diretto –  lo spazio della discrezionalità tecnica (e quindi la possibilità tecnica di adattare la regola da applicare al caso concreto) si riduce, dovrebbe applicarsi la norma che vieta l’aggravio del procedimento amministrativo evitando di articolare in modo eccessivo la procedura (si pensi all’ampliamento, oltre norma, del numero di inviti nella procedura negoziata).          

Anche più avanti – nella relazione tecnica (non è possibile prescindere da certe sottolineature per la rilevanza ed autorevolezza) -, si spiega che “L’idea che l’Amministrazione in materia di appalti debba perseguire solo la concorrenza rischia, allora, di contrastare con il più generale principio di buon andamento, di cui il “principio del risultato” rappresenta una derivazione “evoluta”, (…)”.                

Il ruolo della concorrenza e della trasparenza

il secondo comma dell’articolo 1, pertanto, ricorda che la “concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti” e che “La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice e ne assicura la piena verificabilità”.

La trasparenza allora è funzionale nel momento in cui, evidenziando ciò che si fa, si consente ai soggetti esterni di poter rilevare/segnalare anomalie.

La regola concreta in quel frangente viene ad essere condivisa con ciò che ne consegue in termini di contributi esterni.

La concorrenza, pertanto, non può essere fine a sé stessa e la trasparenza dovrebbe avere come effetto quello di rassicurare sulla correttezza della regola strutturata ed adeguata per raggiungere il risultato. 

Il problema, però, è che la trasparenza impone spesso adempimenti doppi/tripli comunque ripetuti.

Nella relazione, a proposito della concorrenza, si legge che “Il nesso tra “risultato” e “concorrenza”, la seconda in funzione del primo, è già rafforzato dalla dizione del comma 1, dove si specifica che non si persegue “un risultato purché sia”, ma un risultato “virtuoso”, che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività, etc. Una diversa impostazione (secondo cui la P.A. non cura più l’interesse pubblico, perché il suo obiettivo diventa la gara) sarebbe, oltre che irragionevole, ancor più difficile da sostenere in un contesto economico-sociale che, nel quadro di un drammatico conflitto bellico, oggi richiede una nuova leva economica, da realizzare anche (e soprattutto) nel settore delle commesse pubbliche”.

Il risultato

Il risultato quindi costituisce – terzo comma -, attuazione nell’attività contrattuale pubblica dei principi costituzionali “del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea”.

E il risultato, sempre nella relazione, “si inquadra nel contesto della legalità e della concorrenza: ma tramite la sua codificazione si vuole ribadire che legalità e concorrenza da sole non bastano, perché l’obiettivo rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell’interesse della collettività. Questa “propensione” verso il risultato è caratteristica di ogni azione amministrativa, perché ogni potere amministrativo presuppone un interesse pubblico da realizzare”.

Il comma conclusivo (il quarto) chiude l’articolo ricordando, come detto sopra, che il principio del risultato guida (deve guidare) l’azione del RUP (è inutile girarci intorno) ed in particolare il momento in cui questo esercita il suo “potere discrezionale” per adattare e/o trovare la regola del caso che meglio si attaglia all’intervento da realizzare (al risultato da raggiungere).

Ma non solo, il principio deve essere applicato anche nel momento in cui si valuta il “personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti” e (addirittura) nell’attribuire “gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva”.

Niente di più difficile probabilmente. La valutazione, probabilmente è condizionata (a causa di tante stereotipate affermazioni e riferimenti all’applicazione di approcci privatistici alla P.A.) dal fatto che il “risultato deve venire prima di tutto”. Ma questo risultato non è quello declinato nelle norme di cui si è espressa la considerazione. Nella norma, come visto, il risultato non è solo quello dell’affidamento e dell’esecuzione del contratto ma questo raggiunto/ottenuto con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, sempre nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza, che vengono espressamente richiamati”.   

Il risultato, quindi, passa comunque per la forma ma questa non è più fine ma, ed è lo sforzo istruttorio del RUP, strumento che, laddove possibile, occorre adattare al caso concreto. 

Vagamente utopistico, sia consentito, è il collegamento tra risultato – nel senso prospettato dalla disposizione – e gli incentivi. Sufficiente ricordare che ancora oggi proprio gli incentivi sono “collegati” alla forma e solo con il nuovo codice, questo aspetto verrà superato.

Scritto da Stefano Usai

Fonte: https://leautonomie.asmel.eu/